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Cosa significa fare Politica?

Cosa significa fare Politica?
Significa impegnarsi in un servizio, darsi da fare per la comunità, scegliere di spendere una parte del proprio tempo a progettare e realizzare idee che abbiamo come obiettivo il bene comune, il miglioramento della vita non solo propria, ma di una comunità. Fare politica vuol dire interessarsi ai problemi di tutti, cercando di risolverli nel modo migliore; vuole dire scegliere mettersi in discussione, esporsi personalmente con le proprie idee e i propri valori. Fare politica vuol dire cercare di concretizzare ideali. Parlare di politica vuol dire parlare dell'uomo, di lavoro, istruzione, salute, vita, morte, famiglia, ambiente, sviluppo, sicurezza, e ogni altra componete della città dell'uomo. Fare politica significa, ogni giorno, creare consensi attraverso l'esempio, rendendo note le proprie scelte e spiegandone la coerenza. Fare politica significa creare cultura, fornire strumenti per la lettura della realtà, far crescere uomini coerenti e affidabili per non lasciare agli altri una egemonia che non meritano. Significa animare confronti, sollecitare opinioni, non smarrire la visione d'insieme offrendo a tutti la possibilità di sentire propria la battaglia politica e di parteciparvi secondo le proprie possibilità. Gli "uomini liberi e forti" devono trovare il coraggio per impegnarsi in prima persona, con l'obiettivo di garantire a tutti il proprio impegno per un futuro migliore senza farsi prendere della tentazione di salire sul carro dei vincitori, ma lottando per ciò che sentono essere giusto.

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"Oggi viviamo come nel labirinto di Minosse ed il Blog è il moderno filo di Arianna ci servirà per uscire! Oggi il ogni campo dello scibile umano devi essere schierato, devi fare parte di un gruppo ossia o sei un Leader o sei un Mr Ok. Il Pd è libertà questo vuol dire pensare ed esprimere le proprie idee. E Confrontarsi. I doveri del' iscritto al Partito Democratico sono di ascoltare, mettere a fuoco, i problemi del territorio e suggerire soluzioni ed anche intervenire. Anche i Blog dovrebbe essere strumento di confronto, di collaborazione, che fa eco al disagio."

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martedì 9 settembre 2014

La risposta sbagliata moschee (islam) in Italia

In Siria e in Iraq stanno combattendo – in una guerra particolarmente crudele – anche dei musulmani, convertiti e immigrati, provenienti dall’Europa, sta giustamente preoccupando l’opinione pubblica. Ma se l’intelligence reagisce con l’unica strategia sensata, la politica rischia di reagire, come già successo in passato, nell’unica maniera sbagliata e controproducente: quella della demonizzazione generalizzata dell’islam. Un esempio è quanto sta avvenendo a proposito di moschee. Già si invoca la loro chiusura, e si riparla di leggi o di referendum, contro la loro apertura. Si tratta di un falso problema. Le moschee sono tra i luoghi più controllati d’Italia: i rapporti di collaborazione con le forze di polizia, carabinieri e Digos sono stretti, e sono attivi, attraverso informatori, i servizi segreti di vari paesi – italiani, ma anche dei paesi d’origine dei musulmani (egiziani, marocchini, tunisini), nonché, come sappiamo da alcuni casi eclatanti di cui si è occupata la magistratura, anche la Cia. E gli imam sono spesso le persone che più hanno interesse ad evitare la presenza di teste calde all’interno dei luoghi di culto. Oltre tutto l’Italia è stata tra i paesi europei meno colpiti dalla violenza islamica. Il che significa che o la minaccia non è mai stata particolarmente forte, o le strategie di prevenzione – incluse alcune significative indagini di polizia e inchieste giudiziarie sono state particolarmente efficaci, o probabilmente tutte e due le cose insieme. In questa situazione, attuare una politica di scontro frontale con l’islam è un errore. Anche per i mezzi con cui si dice di volerlo fare. Se la legge è uguale per tutti, sarebbe un suicidio politico e otterrebbe risultati controproducenti operare violando i diritti di alcuni. Vale per le proposte di legge contro le moschee: semplicemente, sono anticostituzionali. Tanto è vero che un esponente di spicco della Lega, Cota, firmatario delle prima iniziativa parlamentare in tal senso, non solo non ha mai chiesto seriamente di metterla in discussione, ma una volta diventato governatore del Piemonte, e quindi con tutti i poteri del caso, non ha neanche fatto finta di proporne l’applicazione sul suo territorio. Lo stesso per le proposte di referendum preventivo: il principio base del diritto occidentale, violando il quale tutto l’edificio crolla, è che le maggioranze non hanno il potere di mettere in questione i diritti delle minoranze. Altre forme di controllo ci sono: e sono tanto più efficaci quanto maggiore è la collaborazione e la fiducia reciproca. Le moschee non sono quindi un problema in sé, ma un pezzo della possibile soluzione: anche se vanno accompagnate nella loro evoluzione e controllate, nel reciproco interesse. L’illegalità prospera meglio in situazioni marginali o semi-clandestine, che non laddove tutto avviene alla luce del sole. Questa è una guerra innanzitutto interna al mondo islamico, che la stragrande maggioranza dei musulmani del mondo ha interesse a combattere e a vincere. Ma a cui l’occidente ha il dovere di collaborare, cercando di sconfiggere il neocaliffato sul suo stesso terreno, laddove è nato. E poi favorendo la collaborazione islamica nella denuncia dei suoi esiti, ma anche nel combattere le correnti culturali che ne sono all’origine – cosa su cui, sì, i musulmani dovrebbero fare di più, con meno timidezze. E’ la stessa modalità con cui l’occidente ha sconfitto il terrorismo rosso e nero: non demonizzando le idee e gli ideali da cui originavano, ma ottenendo la collaborazione di chi si ispirava agli stessi ideali, ma con mezzi diversi e rispettosi delle leggi. Così è oggi. La radicalizzazione si combatte favorendo i processi di integrazione: chiedendo quindi ai musulmani di aumentare la vigilanza e l’autocritica. Spingere verso la marginalizzazione di interi gruppi di persone innocue, rischia invece di favorire precisamente le evoluzioni cui a parole si sostiene di volersi opporre.
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